MÖBIUS IN PILLOLE

MÖBIUS IN PILLOLE

Fece alcuni passi e giunse al bordo esterno del tetto, dove il profilo dell’edificio degradava verso il basso. Era stato costruito così per resistere meglio al vento, che ormai raggiungeva normalmente valori che una volta sarebbero stati quelli di una tempesta tropicale. Per sicurezza si aggrappò al palo di supporto di un’antenna; era di metallo e la sua temperatura era quasi insopportabile. Sospirò.

Si guardò nuovamente intorno: quella era veramente una brutta situazione, ma sentiva il bisogno di farlo, di stabilire un contatto più ravvicinato con la Terra e per lui era come visitare un malato. Con tutte quelle misure di sicurezza, vivevano tutti rinchiusi, distanti dal mondo che li ospitava, come se si trovassero su Marte, ed era come se l’avessero lasciato il proprio pianeta fuori della porta, ignorandolo, come se ce l’avessero con lui oppure come se non fossero interessati alle sue condizioni. E questo non era giusto.

Pensò a tutte le forme di vita che avevano cessato di esistere per questo motivo e al fatto che lui adesso era lì, al suo fianco, e almeno condivideva con lei le sue condizioni.

Che cosa ti hanno fatto, mormorò nella maschera che cosa ti abbiamo fatto, ripeté. Restò così, in silenzio, come in meditazione, per dieci minuti. Si sentiva bruciare la pelle e sudava copiosamente. Non avrebbe potuto resistere ancora a lungo. Ma quando poteva saliva lassù.

Ne sentiva il bisogno.

Quando ci riusciva, guardava il tramonto e per qualche istante si illudeva che fosse tutto normale, come una volta, come nei suoi ricordi di bambino.

Rivolse gli occhi verso l’alto.

Io sono con te sussurrò a bassa voce.

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